WWF Italia legame strettissimo tra pandemie e i danni all'eco-sistema
Un report degli ambientalisti spiega come l’emergenza sanitaria sia anche la conseguenza del nostro impatto sugli ecosistemi e come attraverso la difesa della natura si possa tutelare la salute umana
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(AGR) Esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura. Virus, batteri e altri microrganismi nella maggior parte dei casi sono innocui, anzi, spesso essenziali per gli ecosistemi e l’uomo. Tuttavia, alcuni di essi, come il coronavirus SARS-COV-2 all’origine del Covid-19, possono provocare impatti estremamente negativi sulla salute umana, sui sistemi sociali ed economici, come quelli a cui stiamo assistendo nell’attuale emergenza sanitaria che ha raggiunto la portata di una vera e propria pandemia, avendo già colpito oltre 129 paesi in ogni continente con oltre 5.000 vittime. Quella provocata dal Coronavirus fa parte delle cosiddette “malattie emergenti” - come ad esempio Ebola, AIDS, SARS, influenza aviaria o suina - che non sono catastrofi del tutto casuali ma mostrano numerosi elementi comuni. Spesso infatti le zoonosi, ovvero le malattie trasmesse dagli animali all’uomo (esattamente come il Covid-19), sono conseguenza di nostri comportamenti errati tra cui il commercio illegale o non controllato di specie selvatiche e, più in generale, l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi naturali.
Partendo dall’emergenza coronavirus, che sta mettendo in ginocchio un mondo sempre più globalizzato, un nuovo report del WWF Italia, dal titolo “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi - Tutelare la salute umana conservando la biodiversità”, prova a mettere in evidenza proprio i collegamenti nascosti che esistono fra le azioni dell’uomo e alcune malattie che hanno un fortissimo impatto non solo sulla salute delle persone, ma anche sull’economia e sui rapporti sociali.
Gli ecosistemi naturali hanno un ruolo cruciale nel sostenere e alimentare la vita, compresa quella della nostra specie, ma svolgono anche un ruolo fondamentale nel regolare la trasmissione e la diffusione di malattie infettive come le zoonosi. La distruzione di habitat e di biodiversità provocata dall’uomo rompe gli equilibri ecologici in grado di contrastare i microrganismi responsabili di alcune malattie e crea condizioni favorevoli alla loro diffusione. In aggiunta la realizzazione di habitat artificiali o di ambienti poveri di natura e con un’alta densità umana possono ulteriormente facilitare la diffusione di patogeni. Le periferie degradate e senza verde di tante metropoli tropicali, ad esempio, sono la culla perfetta per malattie pericolose e per la trasmissione di zoonosi, mentre la diffusione in paesi tropicali di sistemi d’irrigazione, canalizzazioni e dighe permette la riproduzione di vettori come alcune specie di zanzare.
Foreste, il nostro antivirus. I cambiamenti di uso del suolo e la distruzione di habitat naturali come le foreste sono responsabili dell’insorgenza di almeno la metà delle zoonosi emergenti. La distruzione delle foreste può quindi esporre l’uomo a nuove forme di contatto con microbi e con specie selvatiche che li ospitano. Nelle foreste incontaminate dell’Africa occidentale, ad esempio, vivono alcuni pipistrelli portatori del virus Ebola. Il cambiamento di uso del territorio come le strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici (bushmeat), lo sviluppo di villaggi e altri insediamenti in territori prima selvaggi, hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con nuovi virus, favorendo l’insorgenza di nuove epidemie. Lo stesso è accaduto con patologie come la febbre gialla (che viene trasmessa, attraverso le zanzare, da scimmie infette), la leishmaniosi o l’HIV, che si è adattato all’uomo a partire dalla variante presente nelle scimmie delle foreste dell’Africa Centrale. Il consumo di bushmeat è in drammatica crescita in diverse parti del mondo - non solo in Africa - e mette terribilmente a rischio la salute umana, così come il commercio di fauna selvatica o di parti di essa (wildlife trafficking) che, oltre ad essere causa primaria di perdita di biodiversità, amplifica potenzialmente la diffusione di patogeni.
L’IPBES (Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’ONU), nel 2019 ha segnalato che l’azione distruttiva dell’uomo verso la natura ha raggiunto livelli senza precedenti. Il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati modificati in modo significativo e circa 1 milione di specie animali e vegetali, come mai prima si era verificato nella storia dell’umanità, rischiano l’estinzione; mentre secondo i dati del Living Planet Report redatto dal WWF nel 2018, in poco più di 40 anni il pianeta ha perso in media il 60% delle popolazioni di vertebrati.In 50 anni la popolazione mondiale è raddoppiata, così come dal 1980 sono raddoppiate le emissioni di gas serra, provocando un aumento delle temperature medie globali di un 1°C rispetto all’epoca preindustriale e causando un aumento del livello medio globale del mare tra i 16 e i 21 centimetri dal 1900. Oggi inoltre abbiamo perso circa il 50% della superficie delle foreste, che ospitano circa l’80% della biodiversità terrestre, contribuiscono alla lotta al cambiamento climatico, proteggono la nostra salute e garantiscono la nostra sopravvivenza: secondo dati più recenti, infatti, le foreste pluviali producono da sole oltre il 40% dell’ossigeno atmosferico. Purtroppo, è ormai evidente che l’impatto crescente dell’uomo su ecosistemi e specie selvatiche, amplificato dagli effetti dei cambiamenti climatici, aumenta la nostra esposizione a rischi come quelli che stiamo vivendo con l’emergenza del Coronavirus: è quindi fondamentale agire subito per fermare la perdita di natura che ha subito una drammatica accelerazione negli ultimi 50 anni.