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Legge Biagi, due anni da precari

print24 ottobre 2005 20:54
(AGR) “L’ introduzione del lavoro a progetto nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto spingere verso il lavoro dipendente le false posizioni autonome. Invece dall’ entrata in vigore della legge 30, è aumentata fortemente la percentuale di crescita delle collaborazioni. Infatti nell’ arco di due anni quasi la metà (46%) dei collaboratori coordinati e continuativi è diventato un lavoratore a progetto, il 23% è rimasto un co.co.co nel pubblico impiego (per via della possibilità di proroga); il 5,8% è stato costretto ad aprire la partiva Iva, con un forte aggravio di costi”. E’ quanto emerge dalla ricerca Nuovo contratto. Stessi problemi. Gli effetti della legge 30/03 condotta dall' istituto Ires e promosso dal Nidil, il sindacato dei lavoratori atipici della Cgil. Il presidente dell' Ires Agostino Megale non ha dubbi: “La legge 30 ha prodotto l'esatto opposto di quanto il governo aveva promesso, e cioè sicurezza e tutele. E' vero che il tasso di disoccupazione in questi anni è sceso, anche per effetto della regolarizzazione degli immigrati, ma quello di cui il Paese ha bisogno davvero è buona occupazione, fatta di tutela delle persone. E' a questo che bisogna puntare secondo noi nella prossima legislatura”. Giovanna Altieri che ha coordinato la ricerca dà altri dati: “E' emblematico che alla soglia dei 40 anni il 60% delle collaboratrici non abbia figli. E' una grande mistificazione dire che i contratti di collaborazione o a progetto costituiscono una forma d’ ingresso nel mercato del lavoro. I collaboratori - aggiunge la ricercatrice - sono persone che hanno dai 30 ai 39 anni, non alla prima esperienza e altamente qualificati, con una laurea o un postlaurea. Si tratta di giovani adulti che avrebbero tutto il diritto di riconoscimento della loro condizione di capitale sociale, e invece non si riesce a garantire loro neanche una forma di futuro, dal momento che i redditi sono bassi e quelli pensionistici lo sono ulteriormente”. Infine interviene il Nidil: “L’ orario di lavoro supera ampiamente le 38 ore settimanali e soprattutto nel privato, il 46% dei collaboratori ha una retribuzione inferiore a 1.000 euro al mese. Tra questi, poco meno di un quarto guadagna meno di 800 euro. E comunque anche i redditi più elevati non superano i 1.500 euro al mese. Inoltre - conclude il Nidil - l’ 80% del campione si dichiara poco o per niente soddisfatto. E non solo per la retribuzione: un grande elemento di scontento è dato dal fatto che si svolgono mansioni impiegatizie, ma con un trattamento economico e contributivo che è ben lontano dall’ esserlo”. In particolare, le tutele dalle quali i collaboratori si sentono più esclusi sono legati a diritti basilari: la maternità, seguita dai diritti sindacali e dalla malattia.

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