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A un anno dall’entrata in vigore della Riforma Fornero

print18 luglio 2013 13:25
GiGroup

GiGroup

(AGR) E’ trascorso ormai un anno da quando la Riforma del mercato del lavoro dell’ex Ministro del Welfare Elsa Fornero è entrata ufficialmente in vigore nel nostro Paese.Ma quali sono state, a seguito di questo provvedimento, in quest’ ultimo anno di difficile crisi economica, i comportamenti e le azioni strategiche attuate dalle aziende in materia di risorse umane?

Se l’effetto immediato di applicazione della Riforma registrato nei primi sei mesi dalla sua entrata in vigore>, era stato una riduzione dei contratti a progetto (-20,2%), un aumento dei contratti a tempo indeterminato (+8,2%) e dei contratti di apprendistato (+3,2%), l’ultima survey di Gi Group Academy mostra un sostanziale annullamento di tali effetti a un anno dalla Riforma, con i comportamenti delle imprese che dal punto di vista delle scelte contrattuali, sono tornati ad essere simili alla situazione da cui si partiva.

A rilevarlo Gi Group Academy, la fondazione di Gi Group nata per promuovere e sostenere lo sviluppo e la diffusione della cultura del lavoro, che nel mese di giugno ha avviato la seconda surveydell’Osservatorio Permanente sulla Riforma del Mercato del Lavoro, promosso a fine 2012; ad essere interrogato, in occasione di questo secondo appuntamento, un campione di 351 aziende (HR manager e imprenditori).

Di seguito le principali evidenze emerse dalla seconda rilevazione:

·La maggior parte delle imprese indagate ritiene che la legge 92/2012 non abbia apportato alcun cambiamento rispetto alle aree (flessibilità in entrata, contrattazione di secondo livello, gestione dell’uscita, politiche attive e ammortizzatori sociali)verso le quali poteva esercitare un impatto>, né dal punto di vista dell’efficacia né dal punto di vista dell’efficienza.In particolare, per quanto riguarda la gestione della flessibilità in entrata, il 43,6% ritiene non vi sia stato nessun cambiamento, contro un 40,2% che ritiene vi sia stato un peggioramento e un 16,2% per il quale vi è stato un miglioramento. Stessa situazione per quanto riguarda la capacità della Riforma di rendere meno costose determinate aree: prevale il sentiment del “non cambiamento” soprattutto sul tema delle politiche attive, degli ammortizzatori sociali e della contrattazione di secondo livello. Dopo i cosiddetti “indifferenti”prevale il numero di coloro che ne hanno una visione negativa a discapito di chi, invece, percepisce la legge in modo positivo;

·L’ambito all’interno dell’impresa rispetto al qua la Riforma ha esercitato l’impatto maggiore è rappresentato dalla flessibilità in ingresso (49,9%>), seguita dalla gestione della flessibilità in uscita (18,5%) e dall’utilizzo di ammortizzatori sociali (16%);

·A un anno dall’entrata in vigore della Riforma> non si riscontrano variazioni evidenti rispetto al numero di aziende che utilizza i diversi tipi di contratto. Diminuiscono solo le realtà che ricorrono agli stage (-5,2%) e ai contratti di collaborazione a progetto (-3,7%);

·Solo il 23,4% delle imprese, a seguito della Riforma, sostiene di aver compiuto delle trasformazioni di contratti non a tempo indeterminato>. In particolare, nel 73,2% dei casi si è optato per altre forme flessibili (tempo determinato 25,6%, contratti di apprendistato 14,6%, co.co.pro. e partite iva 12,2%, somministrazione a tempo determinato 8,5%, altro 12,2%) mentre, solo nel 26,8% dei casi si è optato per contratti a tempo indeterminato;

·Il 56,4% delle aziende dichiara di aver gestito almeno un inserimento nel I semestre 2013>. Questa percentuale risulta più bassa di 4,9 punti rispetto a quella registrata nello stesso periodo del 2012 (56,4% vs 61,3%). Analizzando il periodo da luglio 2012 ad oggi, invece, sono state inserite 29.349 persone, di cui il 45,3% (13.305 persone) con contratti di lavoro subordinato (tempo indeterminato, tempo determinato e apprendistato).

“Alla Legge Fornero - commenta Stefano Colli-Lanzi, CEO di Gi Group - va riconosciuta la capacità di aver agito su alcuni temi apicali del mercato del lavoro, come l’articolo 18, le politiche attive, la stretta sulla cattiva flessibilità. Tuttavia è stata una Riforma fatta in condizioni di emergenza, che hanno imposto, considerata la ristrettezza dei tempi, un compromesso al ribasso: il risultato è una Riforma che non ha inciso, dopo un anno dalla sua approvazione, sui comportamenti delle aziende. Questo è di per sé già un risultato negativo: con una produttività inferiore di oltre il 30% a quella tedesca, il sistema delle imprese italiane non può permettersi di restare inerte. Sarebbe oggi più che mai necessario portare a compimento il disegno che stava all’origine della Legge Fornero: oggi invece il rischio è che l’emergenza spinga verso la direzione opposta. Abbiamo bisogno di istituzioni che sappiano guardare oltre il breve periodo, esprimano visioni di lungo termine e sappiano incidere sui comportamenti; altrimenti come è successo con il recente pacchetto lavoro, rischiamo di dare non solo messaggi di breve respiro, ma anche contrastanti tra loro: si pensi per esempio alla marcia indietro fatta sul contratto a tempo determinato.”>

E ancora, analizzando i risultati per cluster, è possibile affermare che:

Giovani

A un anno dall’entrata in vigore della Legge Fornero, meno della metà delle aziende che hanno preso parte all’indagine (il 44,4%) dichiara di aver assunto giovani fra i 15 e i 29 anni>, che rappresentano il 55% degli inserimenti complessivamente realizzati.In totale, in questo periodo le aziende oggetto dell’indagine hanno assunto 16.403 giovani.

La maggior parte dei ragazzi è stata inserita con contratti di collaborazione a progetto (38,7%), seguono poi i contratti a tempo determinato (24,5%), i tirocini (13,2%), i contratti a tempo indeterminato (7,6%), l’apprendistato (6,3%), i contratti di inserimento (6,1%), la somministrazione a tempo determinato e indeterminato (3,1%) e la p.iva (0,6%).

Lavoratori “maturi”

I lavoratori maturi “restano principalmente un problema non gestito” per il 47,6% dei rispondenti e la soluzione maggiormente impiegata per gestirli è rappresentata dall’utilizzo delle competenze e delle esperienze dei lavoratori più maturi per affiancare quelli più giovani (coaching/mentoring)” adottata dal 21,1% delle aziende indagate.

Da rilevare anche che, fino a giugno 2013, le aziende del campione intervistato che hanno fatto ricorso alla staffetta intergenerazionale, strumento introdotto nel Pacchetto Lavoro dall’attuale Governo Letta, sono rappresentate solo dal 4,3%.

Concludendo, qui di seguito, viene riportato quanto emerso in materia di ammortizzatori sociali, area oggetto di indagine della seconda rilevazione dell’Osservatorio Gi Group Academy.

·Sebbene la Riforma Fornero abbia introdotto una raccomandazione all’utilizzo dell’outplacement, nulla è cambiato per quanto riguarda il ricorso alla ricollocazione professionale da parte delle imprese: la survey indica, infatti, che prima della Riforma il 2% delle aziende intervistate aveva impiegato l’outplacement, percentuale che non è cambiata a un anno dalla sua entrata in vigore;

·Quasi un terzo dei rispondenti (il 31%) non sa dire se la propria azienda possa ricorrere a determinate forme di politica passiva del lavoro(CIG o CIGS, con percentuali che tendono ad aumentare passando dalla CIG alla CIGS): un dato questo, che attesta come nel nostro Paese sia ancora troppo limitata la conoscenza di questa tipologia di strumenti.

“Due le evidenze degne di nota qui sopra riportate - continua Colli-Lanzi – la prima è rappresentata dal contratto di apprendistato. A un anno dall’entrata in vigore della Riforma, non è aumentato il numero di giovani inseriti con l’apprendistato: rappresentavano il 6,4% prima della sua approvazione e, a un anno di distanza, la percentuale è rimasta sostanzialmente invariata. Sull’apprendistato bisogna fare chiarezza una volta per tutte: è uno strumento che nasce per orientare l’imprenditore ad investire sulla formazione delle persone, in modo da indurre ad un chiaro impegno entrambe le parti. Bisogna sanare l’equivoco secondo cui questo contratto dovrebbe essere flessibile ed economico, indipendentemente dall’impegno formativo, come se si trattasse di uno strumento di puro avviamento lavorativo, cosa che non è. Se, come credo, vogliamo aiutare le aziende ad investire sulla formazione delle persone allora dobbiamo puntare decisamente sull’apprendistato, creando tutte le condizioni per incentivarlo al massimo (semplificazione, minimi retributivi, ecc…) senza tuttavia snaturarne il contenuto formativo.

La seconda evidenza riguarda l’outplacement> e le politiche attive in generale. La Riforma, infatti, ha menzionato esplicitamente la possibilità di ricorrere all’outplacement; tuttavia non basta di certo una semplice raccomandazione a cambiare la cultura di un Paese. Non è un caso se la percentuale di aziende che ha fatto ricorso allo strumento è stabile al 2%, prima e dopo la Riforma. Da tempo ritengo che il mondo delle imprese dovrebbe lanciare una sfida e proporre un patto: in cambio di una flessibilità in uscita più trasparente, dalle regole certe e meno costosa, farsi carico, mediante società di outplacement, della ricollocazione dei lavoratori licenziati. Questa soluzione rappresenterebbe un’opportunità per tutti gli attori coinvolti: per le imprese, per le persone, che potrebbero veder diminuire in modo drastico il tempo necessario per trovare un nuovo lavoro e per tutto il Sistema-Paese nel suo complesso>. Inoltre ci auguriamo che si possa fare un passo avanti per un sistema di politiche attive nazionale, previsto dalla Riforma ma che ancora non ha trovato attuazione. Sarebbe necessario lanciare una campagna di sviluppo delle politiche attive in cui il pubblico, oltre che gestire la governance, sia il primo riferimento delle persone e dove gli operatori privati che offrono servizi di qualità vengano remunerati sulla base del risultato finale, secondo meccanismi di premialità.”

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