Libertà di stampa

Il Rapporto, giunto alla seconda edizione, è stato realizzato grazie alla collaborazione di giornalisti, ricercatori, giuristi o militanti dei diritti umani, che hanno risposto a un questionario di valutazione sullo stato della libertà di stampa nei diversi Paesi del mondo. Rispetto allo scorso anno i promotori della ricerca hanno ampliato il campo d'indagine, passato da 139 a 166 nazioni.
I risultati confermano sostanzialmente quelli registrati nel 2002: i Paesi scandinavi restano il paradiso dei giornalisti, con Finlandia, Islanda, Olanda, Norvegia e Danimarca nella top five del Rapporto. Segue quindi la sorpresa Trinidad e Tobago, che precede alcune nazioni europee ed il Canada. In generale, secondo i ricercatori, la situazione dell'Unione Europea è abbastanza confortante, fatta eccezione per la Spagna e il nostro Paese, collocati rispettivamente al quarantaduesimo e al cinquantatreesimo posto.
Per quanto riguarda gli iberici le difficoltà si concentrano nel territorio dei Paesi Baschi, dove la libertà d'informazione è spesso messa in discussione. L'Italia esce invece malconcia per il secondo anno consecutivo, a causa del particolare assetto del nostro sistema dei media. Il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio Berlusconi pregiudica il pluralismo informativo, si legge nel Rapporto, e il recente disegno di legge Gasparri rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, legittimando di fatto lo status quo attuale.
Rimanendo nella sfera dei Paesi ricchi, i curatori dello studio evidenziano l'ambivalenza che caratterizza Stati Uniti e Israele, rispettivamente al trentunesimo e al quarantaquattresimo posto della classifica. Posizionamenti non eccelsi, ma neanche catastrofici, che precipitano però al 135° e al 146° se si prende in considerazione il comportamento tenuto al di fuori dei confini nazionali. Su entrambe le nazioni pesa in particolar modo la gestione delle informazioni di guerra, con numerose e ripetute violazioni della libertà di stampa nei territori occupati, per quanto riguarda Israele, e in Iraq, se si rivolge l'attenzione agli States.
Ma ben peggiore è l'aria che si respira a Cuba e in Corea del Nord, rispettivamente penultima e ultima nella speciale graduatoria redatta da Rsf. Nell'isola caraibica si registrano ancora oggi numerose limitazioni all'indipendenza dei giornalisti, come evidenzia ad esempio l'arresto e la condanna di 26 professionisti del settore, avvenuti nella scorsa primavera. Alla Corea del Nord spetta invece il triste primato di maglia nera dell'informazione, con i giornalisti chiamati a operare quotidianamente in condizioni di estremo pericolo per la propria incolumità.
Ma è l'intero continente asiatico a distinguersi per le limitazioni e i vincoli alla libertà di stampa: otto nazioni delle ultime dieci classificate appartengono infatti a quest'area geografica. Con la Corea si distinguono in negativo Birmania, Laos, Cina, Iran, Vietnam, Turkmenistan e Bhutan.
Meno drammatica, ma pur sempre preoccupante, la situazione africana. Il peggiore Paese del continente è l'Eritrea, 126esima in classifica, un triste primato cui hanno contribuito la negazione del diritto di pubblicazione alla stampa privata in vigore da due anni, e l'incarcerazione di 14 giornalisti in località sconosciute.
La vita dei giornalisti appare infine peggiorata rispetto allo scorso anno anche nel mondo arabo e nell'area dell'ex Unione sovietica. Tra i Paesi arabi spicca la repressione alla stampa attuata con l'esplosione del conflitto iracheno, e preoccupano in particolar modo le condizioni dei giornalisti in Arabia saudita (156), Siria (155), Libia (153) e Oman (152). Il discorso è tutto sommato analogo per Russia (148), Ucraina (132) e Bielorussia (151), con il primo Paese che si caratterizza per una rigido controllo sulle informazioni che riguardano il conflitto ceceno.
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