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Libertà di stampa

print01 dicembre 2003 23:20
Libertà di stampa
(AGR) Cattive notizie per lo stato dell'informazione italiana. Il nostro Paese risulta infatti all'ultimo posto tra quelli appartenenti all'Unione Europea nella classifica mondiale sulla libertà di stampa, stilata dall'associazione internazionale Reporters sans Frontières. L'Italia occupa infatti la cinquantatreesima posizione della graduatoria generale, dietro a nazioni come Bolivia, Bulgaria, Bosnia e Albania.

Il Rapporto, giunto alla seconda edizione, è stato realizzato grazie alla collaborazione di giornalisti, ricercatori, giuristi o militanti dei diritti umani, che hanno risposto a un questionario di valutazione sullo stato della libertà di stampa nei diversi Paesi del mondo. Rispetto allo scorso anno i promotori della ricerca hanno ampliato il campo d'indagine, passato da 139 a 166 nazioni.

I risultati confermano sostanzialmente quelli registrati nel 2002: i Paesi scandinavi restano il paradiso dei giornalisti, con Finlandia, Islanda, Olanda, Norvegia e Danimarca nella top five del Rapporto. Segue quindi la sorpresa Trinidad e Tobago, che precede alcune nazioni europee ed il Canada. In generale, secondo i ricercatori, la situazione dell'Unione Europea è abbastanza confortante, fatta eccezione per la Spagna e il nostro Paese, collocati rispettivamente al quarantaduesimo e al cinquantatreesimo posto.

Per quanto riguarda gli iberici le difficoltà si concentrano nel territorio dei Paesi Baschi, dove la libertà d'informazione è spesso messa in discussione. L'Italia esce invece malconcia per il secondo anno consecutivo, a causa del particolare assetto del nostro sistema dei media. Il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio Berlusconi pregiudica il pluralismo informativo, si legge nel Rapporto, e il recente disegno di legge Gasparri rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, legittimando di fatto lo status quo attuale.

Rimanendo nella sfera dei Paesi ricchi, i curatori dello studio evidenziano l'ambivalenza che caratterizza Stati Uniti e Israele, rispettivamente al trentunesimo e al quarantaquattresimo posto della classifica. Posizionamenti non eccelsi, ma neanche catastrofici, che precipitano però al 135° e al 146° se si prende in considerazione il comportamento tenuto al di fuori dei confini nazionali. Su entrambe le nazioni pesa in particolar modo la gestione delle informazioni di guerra, con numerose e ripetute violazioni della libertà di stampa nei territori occupati, per quanto riguarda Israele, e in Iraq, se si rivolge l'attenzione agli States.

Ma ben peggiore è l'aria che si respira a Cuba e in Corea del Nord, rispettivamente penultima e ultima nella speciale graduatoria redatta da Rsf. Nell'isola caraibica si registrano ancora oggi numerose limitazioni all'indipendenza dei giornalisti, come evidenzia ad esempio l'arresto e la condanna di 26 professionisti del settore, avvenuti nella scorsa primavera. Alla Corea del Nord spetta invece il triste primato di maglia nera dell'informazione, con i giornalisti chiamati a operare quotidianamente in condizioni di estremo pericolo per la propria incolumità.

Ma è l'intero continente asiatico a distinguersi per le limitazioni e i vincoli alla libertà di stampa: otto nazioni delle ultime dieci classificate appartengono infatti a quest'area geografica. Con la Corea si distinguono in negativo Birmania, Laos, Cina, Iran, Vietnam, Turkmenistan e Bhutan.

Meno drammatica, ma pur sempre preoccupante, la situazione africana. Il peggiore Paese del continente è l'Eritrea, 126esima in classifica, un triste primato cui hanno contribuito la negazione del diritto di pubblicazione alla stampa privata in vigore da due anni, e l'incarcerazione di 14 giornalisti in località sconosciute.

La vita dei giornalisti appare infine peggiorata rispetto allo scorso anno anche nel mondo arabo e nell'area dell'ex Unione sovietica. Tra i Paesi arabi spicca la repressione alla stampa attuata con l'esplosione del conflitto iracheno, e preoccupano in particolar modo le condizioni dei giornalisti in Arabia saudita (156), Siria (155), Libia (153) e Oman (152). Il discorso è tutto sommato analogo per Russia (148), Ucraina (132) e Bielorussia (151), con il primo Paese che si caratterizza per una rigido controllo sulle informazioni che riguardano il conflitto ceceno.

www.rsf.org

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