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Nelle alterazioni del sodio una previsione dell’esito dell’infezione da Covid-19, lo conferma uno studio a Careggi su 380 pazienti

printDi :: 15 giugno 2021 14:11
Ospedale di Careggi- Firenze-

Ospedale di Careggi- Firenze-

(AGR) Le alterazioni del sodio possono fornire utili indicazioni durante il ricovero rispetto alle possibilità di superare l’infezione da Covid-19, è il risultato di uno studio basato​ sull’osservazione di 380 pazienti assistiti, nell’Azienda ospedaliero – universitaria fiorentina Careggi, nella prima fase della pandemia.

Lo afferma il professor​ Alessandro Peri, autore dello studio pubblicato sull’European Journal of Endocrinology, e responsabile della Unit dedicata alle patologie ipotalamo-ipofisarie e​ alterazioni del sodio, all’interno della SOD complessa di Endocrinologia di Careggi diretta dal professor Mario Maggi.

 
Le concentrazioni sieriche del sodio - spiega Peri - fisiologicamente sono racchiuse in un intervallo compreso tra 135 e 145 milliequivalenti per litro. Vari studi, fra cui​ quello sul rapporto sodio e Covid-19 realizzato a Careggi, hanno evidenziato in diverse patologie un aumentato del rischio di mortalità quanto più ci si discosta da​ questi valori di riferimento.​ In particolare - prosegue Peri - nello studio pubblicato ridotte concentrazioni di sodio nel sangue (iponatremia) sono emerse nel 22.9% dei pazienti al momento del​ ricovero. Questa condizione si è evidenziata come indice di complessità di malattia nell’infezione da Covid-19. In particolare, le concentrazioni di sodio nel sangue​ correlano in modo diretto con i parametri di funzione respiratoria e in modo inverso con i livelli della citochina pro-infiammatoria IL-6 coinvolta nel danno al tessuto​ polmonare. L’iponatremia - aggiunge Peri - è risultata un fattore di rischio indipendente per il ricorso a sistemi di respirazione assistita e quindi al trasferimento dei pazienti in​ terapia intensiva.

Ancor più rilevante è stata l'associazione tra iponatremia e maggior rischio di morte, fino a 2.7 volte in più rispetto ai pazienti con valori normali del​ sodio.​ Questi dati - conclude Peri - indicano come un parametro rapidamente ottenibile, come il livello di sodio nel sangue, può essere un indicatore precoce di gravità nei​ pazienti affetti da Covid-19 e quindi essere di utilità clinica per identificare i soggetti a maggior rischio di progressione della malattia.

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