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L’ITALIA E GLI OPEN DATA IN MATERIA DI CRIMINALITA’ E DEGRADO URBANO

solo attraverso la condivisione complessiva di dati, informazioni e materiali utili in materia di sicurezza urbana, il pubblico, integrandosi con il privato (componente imprescindibile della società moderna), potrà pensare di affrontare le grandi sfide che la ‘security del prossimo futuro’ ...

printDi :: 24 marzo 2022 18:01
L’ITALIA E GLI OPEN DATA IN MATERIA DI CRIMINALITA’ E DEGRADO URBANO

(AGR) Come riportato dal Prof. Battistelli nel 2013 , “a partire dagli anni ’80 del XX secolo prende corpo un rilevante mutamento nel concetto di sicurezza. Rispetto al tradizionale concetto di sicurezza pubblica, esso assume la denominazione e i contenuti della sicurezza urbana. Ci si domanda però se la nuova definizione possa essere considerata o meno una sostituzione della precedente: di certo ne costituisce un radicale ampliamento. Di per sé, infatti, la sicurezza urbana include le caratteristiche ‘necessarie’ della sicurezza pubblica ma, contemporaneamente, fuoriesce da quest’ultima innestandovi alcune caratteristiche eccedenti”.

Il paradigma della sicurezza urbana, che assume la forma non soltanto della protezione di una società dalle minacce che la insidiano ma pure della soddisfazione dei suoi bisogni più avanzati, promette sì di perseguire lo sviluppo delle opportunità e dei diritti del massimo numero di attori che a vario titolo ne fanno parte (in certi casi anche non autoctoni), ma lo fa estendendo la realizzazione di tale obiettivo ad agenzie diverse da quelle pubbliche: i privati (Battistelli 2013). Questi, di conseguenza, cercano di innestarsi in una nuova area della società con l’obiettivo di assolvere privatamente funzioni di tutela e di sicurezza pur mantenendo un legame molto forte con le autorità pubbliche (es. forze dell’ordine, Ministeri).

 
L’Italia, a tal proposito, ha sempre mantenuto un atteggiamento prudenziale nei confronti della condivisione di qualsiasi dato in materia di criminalità, rendendolo appannaggio esclusivo delle Autorità per la Pubblica Sicurezza. All’interno di tale cornice si inserisce il Centro Elaborazione Dati Interforze (CED) , istituito con l’articolo 8 della Legge /1/4/1981, n. 121 a fini di coordinamento della raccolta, classificazione, analisi e valutazione delle informazioni in materia di tutela dell’ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione della criminalità (art. 1, comma 1, decreto legislativo 18/5/2018, n. 51), successivamente inglobato nel 2001 all’interno del nuovo Sistema Di Indagine (SDI) . Quest’ultimo è, a tutti gli effetti, la più grande banca dati pubblica (su criminalità, illeciti e degrado urbano) che vi sia, ad oggi, in Italia.

Lo SDI viene costantemente arricchito da moltissimi dati riconducibili ad episodi d’illecito, potenziali rei, soggetti, persone, proprietà e molto altro ancora. In altre parole si vanno ad integrare informazioni ‘quantitative’ (es. distribuzione geografica di eventi criminali, episodi di degrado urbano ed illeciti) con quelle ‘qualitative’ (ad es. relative a procedimenti penali, segreti o segretati - art. 144 e 329 - e pertanto accessibili solo ad Ufficiali di polizia giudiziaria assegnati ai "Servizi" di polizia giudiziaria previsti dall’art. 56 c.p.p., alla D.I.A, alla Direzione centrale per i servizi antidroga e agli Uffici centrali della Polizia di Stato o dell’Arma dei Carabinieri deputati al contrasto del terrorismo).

All’interno di questo enorme database (SDI) vengono veicolati, naturalmente, anche i dati geo-localizzati su episodi di criminalità, generati dalla base dati delle denunce pervenute alle autorità competenti. Tale raccolta geo-referenziata ha uno specifico obiettivo e cioè quello di mettere le Forze dell’Ordine nella condizione di poter svolgere delle analisi di rischio urbano finalizzate alla comprensione delle principali aree critiche su cui attivare azioni mitigatrici e/o di contrasto e/o di prevenzione. Tali dati geo-localizzati, qualora resi scevri di qualsivoglia informazione sensibile, potrebbero avere un indubbio valore anche per le Associazioni, gli Enti del terzo settore, le Fondazioni, i privati Cittadini e le Aziende, in quanto parte inevitabile (ed irremovibile) della cittadinanza oltreché del tessuto sociale.

Quanto scritto ben s’innesta con ciò che viene riportato dalle Nazioni Unite (2018) in relazione ai processi di urbanizzazione che il mondo, specie quello occidentale, dovrà affrontare entro il 2050. Infatti, si prevede che il 68% della popolazione mondiale si troverà a vivere all’intero dei contesti urbano-metropolitani, sancendo una crescita sia in verticale sia in orizzontale delle nostre città. Tale addensamento si accompagnerà ad un non altrettanto veloce incremento nel numero delle Forze dell’Ordine coinvolte nel presidio dei sopra menzionati spazi urbani. Tale gap implicherà, inevitabilmente, una sempre maggiore assunzione di responsabilità da parte di tutti gli stakeholders (pubblici e privati) della nostra Società, i quali diverranno parte integrante di un processo di armonizzazione in materia di ‘sicurezza urbana partecipata’. In altre parole, ognuno di noi sarà chiamato a dare un contributo affinché le città possano mantenere adeguati livelli di sicurezza, inclusione ed equilibrio. È proprio all’interno di questa cornice che si gioca una delle più grandi sfide del futuro e, per non perderla, sarà fondamentale vertere verso un cambiamento radicale proprio in materia di ‘open-data’ su criminalità e degrado urbano. Infatti, qualora ciò non avvenisse, come potrebbero gli stakeholders pubblici/privati identificare strade, micro-zone urbane dove vi possono essere delle ‘sacche’ di illecito su cui è fondamentale intervenire con operazioni di contrasto, mitigazione e prevenzione del rischio? Non sarebbe possibile, o perlomeno risulterebbe estremamente complesso. L’idea di una sinergia sempre più compenetrante tra Forze dell’Ordine, Cittadini, Imprese e qualsiasi altro Stakeholder (parte del tessuto sociale) può concretamente portare a dei benefici tangibili oltreché misurabili; ne sono un esempio i Paesi del Nord Europa. In questi ultimi, infatti, il concetto di ‘open data’ in materia di sicurezza (e non solo) è stato oramai sdoganato anni fa, rendendo il nostro Paese, purtroppo, ancora piuttosto indietro rispetto agli standard d’oltre confine. Ad esempio, seppure aggiornato al 2017, l’Open Data Barometer , relegava l’Italia, per l’area Europa, in una posizione non proprio ottimale in materia di open data (cfr. fig. 1).

L’ITALIA E GLI OPEN DATA IN MATERIA DI CRIMINALITA’ E DEGRADO URBANO

Confrontando l’Italia con lo UK, ad esempio, due paesi che potremmo definire – per alcuni topic – agli estremi dello stesso spectrum, emerge che in materia di crime data-transparency l'Italia presenta un punteggio complessivo (su una scala che va da 0 a 100) di 40.00 contro il 90.00 dello UK, di seguito alcuni numeri più specifici (cfr. fig. 2):

·         Open data su Illeciti e Degrado: UK (90.00) VS Italia (40.00)

·         Dati Mappati, WEB GIS: UK (100.00) VS Italia (50.00)

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A questo si aggiunge la presenza della piattaforma Governativa denominata “Open Data – Police UK”, attraverso cui qualunque cittadino/ente, nel mondo, può scaricare liberamente tutti i dati sui crimini geo-localizzati aggiornati fino ad oggi (cfr. fig 3).

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Proseguendo il confronto a livello Europeo, l'Italia, rispetto alla Germania, presenta un punteggio complessivo di 40.00 contro 80.00, di seguito alcuni numeri più specifici (cfr. fig. 4):

·         Open data su Illeciti e Degrado: Germania (80.00) VS Italia (40.00)

·         Dati Mappati, WEB GIS: Germania (100.00) VS Italia (50.00)

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Ancora, l'Italia, rispetto alla Francia, presenta un punteggio complessivo di 40.00 contro 95.00, di seguito alcuni numeri più specifici (cfr. fig. 5):

·         Open data su Illeciti e Degrado: Francia (95.00) VS Italia (40.00)

Dati Mappati, WEB GIS: Francia (70.00) VS Italia (50.00)

L’ITALIA E GLI OPEN DATA IN MATERIA DI CRIMINALITA’ E DEGRADO URBANO

Alla luce di quanto appena riportato sorge spontanea una domanda: che tipo di conseguenze può generare direttamente, o indirettamente, tale differenza?

La mancanza di dati geo-localizzati accessibili in materia di criminalità urbana fa sì che molte politiche d’intervento (sia di privati sia di Enti pubblici) non siano ancora, su questo tema, data-driven ma bensì poggino solo ed esclusivamente su variabili di tipo qualitativo (ugualmente importanti ma insufficienti se non integrate con quelle numerico-quantitative).

Come potrebbe, d’altronde, una Pubblica Amministrazione, una Fondazione, un’Associazione finanche un gruppo di cittadini consapevoli e pro-attivi, pianificare un intervento di riqualificazione urbana se i dati (geo-localizzati) sugli episodi di criminalità e degrado non sono accessibili? Tutto diventa estremamente più complesso e, potenzialmente, inefficace. Da qui la necessità di un capovolgimento del paradigma stesso di sicurezza urbana partecipata.

Tale cambiamento non presuppone, ovviamente, un accesso all’intera banca dati dello SDI in quanto inapplicabile, pericoloso e soprattutto eticamente ingiusto (data l’alta presenza di dati e materiali sensibili), ma bensì si vuole intendere la possibilità per i privati cittadini, le aziende, le pubbliche amministrazioni e tutti gli enti del 3’ settore, di accedere ai soli dati geo-localizzati (privati di ogni informazione sensibile e delicata) su criminalità e degrado urbano. Di seguito un esempio di ‘campi informativi’ che – pur non ledendo o toccando dati sensibili/personali – potrebbero rendere un dato evento d’illecito/degrado utilizzabile in materia di analisi di rischio urbano:

·         Categoria di evento (es. Rapina, Furto, Reato Violento, Contraffazione, Spaccio di Droga, ecc.)

·         Sotto-categoria di evento (es. Rapina in Esercizio Commerciale, Furto in Abitazione, ecc.)

·         Data dell’evento (es. 01/01/2021)

·         Fascia oraria dell’evento (es. tra le 8:00 e le 12:00)

·         Indirizzo (es. Via Rossi 1, 00000, Roma)

·         Latitudine e Longitudine (fondamentali per la geo-localizzazione terrestre dell’evento)

Naturalmente, di pari passo con un’ipotetica maggiore condivisione dei dati su crimini e degrado urbano da parte delle Autorità per la Pubblica Sicurezza, bisogna incentivare un attivismo sempre più sostanziale da parte dei cittadini. Questi ultimi, infatti, sono chiamati a contribuire, a loro volta, con informazioni e dati che purtroppo cadono spesso nel cosiddetto ‘sommerso’. A questo proposito, già nel lontano 2004, il Dott. Maurizio Fiasco – attraverso un interessante articolo pubblicato sul sito della Polizia di Stato – citava “La media dei casi denunciati risulta del 34 per cento dell’universo reale ed è in parte influenzata dalla maggior trascuratezza verso i reati tentati (solo uno su quattro è seguito da una segnalazione alle autorità). Se può sembrar scontato che i cittadini denuncino la quasi totalità dei furti di autoveicoli (94 per cento), induce invece a riflettere quell’elevata percentuale di rapine che restano senza denuncia: il 50,4 per cento di quelle consumate e il 68,9 di quelle tentate. Perché una così bassa propensione? Le ipotesi sono fondate sul bilanciamento tra costi e benefici del rivolgersi alle forze di polizia e sulla gravità delle conseguenze del crimine subito. Influisce, inoltre, se il contatto tra l’autore del reato e la vittima si sia verificato o no. Un furto subìto mentre si è assenti dall’abitazione ha riflessi emotivi diversi da una rapina, nel corso della quale la parte offesa avverte anche fisicamente la figura dell’aggressore. In altri termini, nel caso di eventi che hanno colpito una persona singola, come aggressioni e rapine, la motivazione più frequente della regolare denuncia è il dovere di informare le forze dell’ordine (rispettivamente con il 43,2 e con il 35 per cento delle risposte) o l’impedire all’autore del fatto delittuoso di ripetere il reato (50,3 per cento e 17,3). All’opposto, queste motivazioni risultano scarsamente segnalate nei borseggi e nei furti di oggetti personali”.

Tale riflessione, seppure datata, rimane ancora profondamente attuale considerando quanto segnalato nel report di fine anno 2020 dell'ISTAT e cioè che "I dati che riguardano la rilevazione delle Forze di polizia non rappresentano un quadro completo della criminalità". Tale aspetto è, per certi versi, estremamente invalidante in quanto potrebbe ostacolare le Autorità per la Pubblica Sicurezza nella messa in atto di misure di contrasto e contenimento della criminalità efficaci. Tuttavia, seppure il numero delle denunce è ancora oggi (specie per alcune fattispecie di reato) relativamente basso, va detto che i cittadini hanno saputo costruire una fitta rete di piattaforme, soprattutto digitali, capaci di raccogliere moli di dati su crimini/degrado molto significative. In altre parole, seppure con le debite pinze, si potrebbe affermare che blog/forum/social network/security websites siano diventati la bacheca digitale entro cui i cittadini tendono a cristallizzare i risultati delle loro attività HUMINT.

Pertanto risulta evidente la profonda disponibilità che questi ultimi mettono in campo quando si tratta di ‘condividere informazioni per la tutela degli spazi comuni/pubblici’, serve però anche metterli nella condizione di poter veicolare quegli stessi dati alle Autorità Competenti. Attività formative, informative e divulgative possono essere un ottimo strumento attraverso cui sensibilizzare sempre più i cittadini alla necessità di sistematizzare i dati/segnalazioni che raccolgono al fine di condividerli con le Forze dell’Ordine; oltreché digitalizzare sempre di più le procedure di denuncia. In tal senso, il progetto Mine Crime da me coordinato vuole proprio armonizzare la raccolta dei dati segnalati attraverso le molteplici piattaforme digitali (e non solo), sistematizzandoli all’interno di un unico database e trasformandoli in indici di rischio con cui supportare le attività di mitigazione da parte di Imprese, Forze dell’Ordine, Stakeholders pubblici e Cittadini.

In conclusione, solo attraverso la condivisione complessiva di dati, informazioni e materiali utili in materia di sicurezza urbana, il pubblico, integrandosi con il privato (componente imprescindibile della società moderna), potrà pensare di affrontare le grandi sfide che la ‘security del prossimo futuro’ ci porrà inesorabilmente. Abbiamo ottimi esempi di Paesi che potrebbero fungere da modelli di ‘good practices’ da cui partire. Non resta altro da fare che cominciare.

Giacomo Salvanelli - CEO di Mine Crime  

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